Mi preme iniziare questo mio breve post con una metafora:
l’adolescenza è come l’impasto del cemento per un palazzo. Quel momento in cui una volta radunate tutte le componenti, siamo pronti ad immischiare sabbia, cemento e acqua, per poi, mattone dopo mattone, costruire il nostro edificio. Attenzione però, basta un po’ più d’acqua e l’impasto sarà troppo liquido, un po’ più di sabbia e sarà troppo secco, un semplice errore, una svista, una leggerezza e l’integrità del palazzo sarà messa a dura prova.
Che questo periodo della vita sia delicato e di fondamentale importanza non devo certo star qui a sottolinearlo io. Adolescenza che, per quanto mi riguarda, aimé, è passata da tempo ormai.
Premettendo che esistono diversi tipi di genitori e sicuramente non voglio fare di tutta l’erba un fascio, sopratutto non essendolo ancora diventato, voglio dare per scontato che tutti i padri e tutte le madri mostrino una certa apprensione nei confronti di questo periodo della vita dei figli. E NO, NON E’ COSI.
L’apprensione genitoriale ha molteplici sfaccettature, molteplici cause ma sopratutto una moltitudine di conseguenze.
Metto le mani avanti: sono da sempre affascinato dall’ambiente FAMIGLIA, dall’idea del nido, di storie di vita familiare e da quanto queste possano influenzare la vita dell’individuo, ad ogni età.
Ho conosciuto, sia nella vita privata sia fra i miei pazienti, madri e padri (più madri) che spinti, presumo, dall’amore incondizionato per i propri figli, hanno cercato in ogni modo possibile di inculcare ai figli la propria esperienza di vita, il proprio sapere, le proprie convinzioni ma sopratutto le loro soluzioni ai problemi.
Mi direte voi, e allora?
E allora vi siete dimenticati di cosa significhi essere un adolescente, ma sopratutto date per scontato che i vostri figli o nipoti che sia, abbiano la stessa vostra adolescenza, in qualche modo siano un voi solo trentanni prima. Ecco no, non è cosi, ma forse non servo io nemmeno a ricordarvi questo.
Perché ve ne parlo allora? io sono un semplice nutrizionista (oltre che un paroliere senza freni tendente al logorroico) e in quanto tale mi capita spesso, sempre più spesso, di avere come pazienti ragazzi affetti da DCA (disturbi del comportamento alimentare).
Sono state da poco pubblicate le nuove linee guida dell’American Academy of Pediatrics che propongono un approccio univoco per affrontare sia la prevenzione dell’obesità sia i disturbi del comportamento alimentare nei teeenager.
Perché se è vero che questo periodo è una fase d’impasto di tutto ciò che ci rende futuri uomini e future donne, diamogli l’importanza che merita e cerchiamo di non commettere errori, che potrebbero rendere più fragile o addirittura infrangere l’emotività del futuro adulto, portandolo in un fase dove rimpastare tutto sarebbe terribilmente difficile.
Ricordiamoci che viviamo in un’epoca dove c’è più ansia che ossigeno in giro. Così giusto per precisare.
Quali sono queste linee guida:
- non parlare mai di peso, né del proprio, né di quello dei figli;
- pranzare o cenare il più spesso possibile con i propri figli, cercando di dare il buon esempio a tavola;
- tenere lontani i ragazzi dalle diete, ma incoraggiarli a consumare cibi sani e una dieta equilibrata, non trascurando di fargli fare sport.
- Vietato, anzi vietatissimo, prendere in giro un adolescente sovrappeso per i suoi chili di troppo.
Le nuove linee guida, appena pubblicate su Pediatrics, sono state redatte per rispondere alle crescenti preoccupazioni relative ai metodi, anche fantasiosi e pericolosi, che gli adolescenti adottano per perdere peso. Una rapida e sostanziale perdita di peso può infatti scatenare conseguenze molto serie, abitualmente osservate nei pazienti con anoressia nervosa, quali ad esempio aritmie cardiache.
“Si tratta di una categoria di pazienti a rischio – sostiene il primo autore delle linee guida, Neville Golden, professore di pediatria alla Stanford University School of Medicine– Potrebbe anche darsi che questi soggetti abbiano effettivamente bisogno di perdere peso, ma le cose possono sfuggir loro di mano.”
Il succo?
GENITORI, NONNI, ZII, PARENTI TUTTI, se si accetta il consiglio di uno che rammenta molto bene quel periodo della vita, e che ora ha gli strumenti per poterlo comprendere meglio, non cercate di capire, non cercate di scervellarvi su cosa stia succedendo all’anima di questo/a ragazzo/a. Anche se spinti da buoni propositi, è egoistico voler aver la presunzione di poter capire, o che capire sia la risoluzione dei problemi; è egoistico perché il problema non è in voi. Preoccupiamoci di capirne la sintomatologia, di non regalare sguardi disattenti, di dar peso a quegli occhi tristi ma sopratutto a quell’insano ridere, che nasconde un logorarsi dentro.
E’ capirne la sintomatologia, non il problema, che aiuta. Il problema dipende dall’emotività dell’individuo che è diversa dalla nostra, e che fino in fondo non potremo mai comprendere, perché l’emotività è personale e non si gemella con quella di nessun’altro.
Che fare?
Scegliere l’equilibrio, si un equilibrio fra il capire quando c’è bisogno di parlare, perché si parla sempre troppo poco, e quando c’è bisogno di lasciar andare. Un equilibrio fra il buon esempio dato con il sorriso e il voler impartire a tutti i costi una lezione con la scusante della finalità educativa.
Cosa fare?
Non siate ciechi, sordi, muti. Siete i muratori, spetta a voi, sperando che il tempo sia bello, senza pioggia e vento, assicurarvi che il palazzo venga su ben ancorato alle proprie fondamenta, e, come dire, “antisismico”.